Onorevoli Colleghi! - La crisi di approvvigionamento del gas che ha colpito l'Unione europea e l'Italia nei primi mesi del 2006 e le tensioni internazionali che si riflettono ormai repentinamente sul prezzo del petrolio hanno avuto quanto meno il merito di aver reso di dominio pubblico le tensioni che nel mercato dell'energia da anni si vanno progressivamente accumulando, ponendo la questione energetica al centro dell'agenda politica nazionale, comunitaria e mondiale.
      Per quel che riguarda l'Italia i rapporti su energia e ambiente dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente (ENEA) indicano in costante crescita, intorno al 3-4 per cento annuo, il consumo interno di energia, in particolare di gas naturale (34 per cento dei consumi di energia primaria). Nel 2005 l'Italia era al nono posto tra i maggiori consumatori mondiali di gas con 86,1 miliardi (mld) di metri cubi, mentre è continuata la discesa del consumo complessivo di prodotti petroliferi, che si attestano attorno al 40 per cento dei consumi di energia primaria, proseguendo nel trend registrato negli ultimi anni.
      Secondo le stime della SNAM, «rebus sic stantibus» il fabbisogno di gas in Italia sarà nel 2010 di 95 mld di metri cubi, per raggiungere la quota di 106 mld di metri cubi all'anno nel 2015.
      Così come fa la SNAM, anche l'Unione petrolifera sviluppa i propri calcoli sulla base degli attuali trend di sviluppo, per cui prevede che «(...) le fonti fossili al 2030 dovrebbero coprire l'81 per cento del totale con una dipendenza dal petrolio OPEC del 50 per cento, tale da lasciarci

 

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in balìa degli avvenimenti di quelle aree (...)».
      In termini di peso sul prodotto interno lordo (PIL), la fattura energetica pagata dall'Italia ha superato nel 2006 il 3 per cento contro il 2,2 per cento nel 2004.
      La crescita della popolazione mondiale e di soggetti economici giganteschi come l'India e la Cina rende sempre più ricercate le fonti fossili, determinando crescenti tensioni politiche ed economiche. Ma anche aderendo alle ipotesi più ottimistiche è chiaro che l'era del petrolio e del gas a basso prezzo appaiono definitivamente tramontate. Gli Stati Uniti d'America (USA) e la Cina sono in rotta di collisione per il controllo delle fonti di approvvigionamento, mentre la Russia è di nuovo in grado di dettare condizioni a livello mondiale, forte delle sue immense riserve. Scorrendo le dichiarazioni dei Governi dei Paesi produttori si affaccia sempre più di frequente l'idea di vendere meno a prezzi più alti e, quindi, da un periodo di dominio della domanda è del tutto possibile che si passerà ad un altro periodo dominato dall'offerta controllata. In tale contesto l'Unione europea non riesce a elaborare una politica energetica comune.
      Un ulteriore elemento di rigidità del sistema è dato dall'adesione dell'Italia al Protocollo di Kyoto, l'accordo internazionale sottoscritto l'11 dicembre 1997 da oltre 160 Paesi (oggi sono 189) partecipanti alla terza sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC), per la riduzione, attraverso un'azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra, in particolare da fonti energetiche fossili. Nell'Accordo i Paesi industrializzati (elencati nell'Annesso 1 del Protocollo) si impegnano a ridurre le proprie emissioni secondo quote variabili concordate.
      Per l'Italia, la situazione non è rosea: a fronte di una riduzione richiesta dal citato Protocollo di Kyoto del 6,5 per cento delle emissioni, le stesse sono invece aumentate del 12 per cento, quindi è fuori obiettivo di oltre il 18 per cento. Per dare un'idea del compito che ci aspetta se ad ogni milione di tonnellata equivalente di petrolio (MTEP) corrispondono 2,7-2,8 milioni di CO2, per il 2012 dovremo tagliare i consumi energetici inquinanti di oltre 30 MTEP, circa un sesto degli attuali consumi, sostituendoli con qualcos'altro. L'apporto energetico delle fonti rinnovabili o il risparmio energetico dovranno salire dai 16,5 MTEP del 2004 ai 47 MTEP del 2012, con una crescita di circa 6 MTEP l'anno, considerando di partire dal 2007, altrimenti ci attendono multe per il mancato rispetto degli obiettivi di Kyoto dell'ordine di 3 miliardi di euro l'anno.
      Ma l'apporto delle fonti rinnovabili si è rivelato insignificante e, oltretutto, precario: se si esclude l'idroelettrico, che ha gloriosamente sostenuto lo sviluppo economico dell'Italia post-risorgimentale e che rappresenta ancora oggi quasi il 12 per cento della produzione elettrica, il complessivo apporto delle fonti rinnovabili si aggira attorno al 4 per cento di cui l'1,5 per cento geotermico. L'intermittenza delle fonti eolica e solare obbliga a mantenere accese le centrali tradizionali a sostegno e ne impedisce l'utilizzo in attività con consumi costanti: la condizione ottimale per le fonti rinnovabili è quella legata alla microgenerazione, ideale per i consumi delle famiglie e delle piccole aziende, ma insignificante negli altri ambiti.
      Non è casuale osservare che l'Italia non redige più un Piano energetico nazionale sin dal 1988, l'anno successivo a quello dei referendum che chiuse la questione nucleare in Italia. Si era in anni di bassi prezzi petroliferi e la questione energetica sembrava del tutto secondaria, da lasciar pilotare al mercato e da delegare alle regioni. I piani energetici di cui disponiamo oggi sono quelli regionali, del tutto scollegati tra loro: ci troviamo così di fronte a testi che promuovono obiettivi irrealizzabili e che non si peritano di domandarsi cosa accade al di là del confine. Talune regioni dichiarano addirittura che, avendo la propria autosufficienza, non hanno alcuna intenzione di accogliere ulteriori infrastrutture energetiche.
 

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      I fattori sinora illustrati - costo crescente dei combustibili fossili, necessità di ottemperare agli impegni di Kyoto - spiegano il motivo del crescente riavvicinamento del mondo politico italiano (il mondo industriale non se ne è mai allontanato) al nucleare. Sorprende che ciò provenga anche da parte di coloro che erano stati i più accesi sostenitori dei referendum del 1987, proposti sull'onda emotiva del disastro di Chernobyl, che chiusero, con costi enormi - si dovette chiudere la centrale di Caorso, appena aperta e si dovette riconvertire la centrale di Montalto di Castro, pronta all'80 per cento - l'esperienza nucleare italiana.
      Occorre anche aggiungere che nonostante gli incidenti gravi nella storia dell'energia nucleare siano stati soltanto due (Three Mile Island, 1979 e Chernobyl, 1986), la sicurezza degli impianti ha continuato a fare passi da gigante, grazie allo sviluppo della tecnologia nei Paesi, anche europei, che hanno proseguito nei propri programmi nucleari. In questo ambito l'Europa è il continente che possiede la maggior parte degli impianti elettronucleari in esercizio, con cui copre una media del 28 per cento del fabbisogno elettrico. Nel caso della Francia, il «nuclear share» sfiora addirittura l'80 per cento.
      Ma stanno riavviando i propri programmi nucleari anche gli USA e la Gran Bretagna, mentre in Germania e in Svezia si sta valutando se sia il caso di dismettere le rispettive centrali o realizzarne di nuove. Sono avviate in una nuova politica nucleare India e Cina, dove vi sono 11 centrali funzionanti, 4 in costruzione e 77 allo studio. Su scala mondiale, ai 437 reattori funzionanti, se ne aggiungono 30 in costruzione, 74 progettati e 162 proposti.
      Persino la pubblica opinione italiana sta modificando il proprio atteggiamento: i problemi ambientali e i costi dell'energia hanno ridotto sensibilmente il «no» al nucleare, un tempo maggioritario.
      Il costo dell'elettricità dall'atomo è imputabile soprattutto all'investimento iniziale e ai tempi di costruzione, che sono più lunghi di quelli richiesti per gli impianti tradizionali. Ma, con gli attuali prezzi del combustibile, il confronto non lascia dubbi: si arriva a un costo di 25-40 euro per MWh. Gli impianti esistenti, ormai ammortizzati, sono poi una «gallina dalle uova d'oro»: meno di 20 euro/MWh, contro un costo di circa 40-50 euro/MWh per gli attuali impianti a carbone, di 55-60 euro/MWh per gli impianti a gas e di 70-80 euro/MWh o più per quelli a ciclo combinato, senza considerare possibili penalizzazioni per l'anidride carbonica prodotta.
      Per tali motivi siamo favorevoli a una politica di sviluppo dell'energia nucleare che porterebbe indubbi benefìci ambientali, economici e d'indipendenza energetica, e che, pertanto, richiede il rilancio di una politica nazionale di settore.
      Lo dobbiamo alle nostre aziende, che considerarono sin da subito la nostra uscita dall'atomo una jattura e che oggi pagano la corrente elettrica il 20 per cento in più del resto d'Europa, un danno gravissimo a una competitività sempre più declinante. Lo dobbiamo a tutto il Paese, se intendiamo consentire lo sviluppo economico e sociale e, in definitiva, conservare uno stile di vita che tutto il mondo ammira.
      Illustriamo di seguito gli articoli della presente proposta di legge.
      L'articolo 1 enuncia le finalità generali.
      L'articolo 2 prevede l'adozione del Piano nazionale per l'elettricità (PNE), come parte integrante vincolante - ma separata - del Piano energetico nazionale (PEN). Ciò risponde alla necessità di accelerare gli interventi di riassetto del sistema elettrico - attraverso il quale si governa comunque il 33 per cento dell'energia e si possono ridurre più facilmente gli oneri del Protocollo di Kyoto - lasciando ad altri strumenti il compito d'intervenire sulle altre forme di produzione e di utilizzazione dell'energia (che interessano meno). All'interno del PNE sono definiti anche gli aspetti relativi:

          a) alla localizzazione degli impianti e delle infrastrutture sul territorio nazionale (commi 4, 5, 6);

 

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          b) all'indirizzo della ricerca sul sistema elettrico (comma 7);

          c) all'eventuale incentivazione delle fonti e delle tecnologie elettriche (commi 8 e 9).

      L'articolo 3 qualifica gli impianti di produzione elettrica (inclusi i termovalorizzatori) e le infrastrutture connesse (inclusi i rigassificatori) come opere di interesse nazionale indifferibili e urgenti.
      L'articolo 4 istituisce come autorità indipendente l'Autorità di controllo nucleare (ACN), mediante scorporo delle relative funzioni dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e della Commissione tecnica di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 230 del 1995, adottando in tal modo l'ordinamento seguito negli altri Paesi industriali. Questa scelta ha la finalità di sottrarre l'ACN alle ingerenze politiche e di ripristinare la configurazione operativa più idonea per definire standard allineati al contesto internazionale e tempi certi nell'iter autorizzativo.
      L'articolo 5 detta norme per la localizzazione degli impianti elettronucleari in funzione di una mappa delle aree idonee, redatta sulla base delle linee guida internazionali emanate dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA) e dall'Agenzia dell'energia nucleare (NEA).
      L'articolo 6 fissa il procedimento per l'autorizzazione alla costruzione delle centrali nucleari, nel senso di semplificare l'iter, introdurre tempi di risposta certi e far convergere i diversi pareri in un'apposita conferenza di servizi.
      L'articolo 7 fissa il procedimento per il collaudo e per l'autorizzazione all'esercizio degli impianti nucleari, lasciando inalterato l'iter previsto dalla normativa vigente (contenuta nel capo VII del decreto legislativo n. 230 del 1995) che si ritiene tuttora adeguato.
      L'articolo 8 introduce l'obbligo di copertura assicurativa per le fasi di costruzione e di esercizio degli impianti nucleari (attualmente non previsto).
      L'articolo 9 fissa l'iter di localizzazione e di realizzazione del deposito nazionale per i materiali radioattivi, sulla base di una mappa delle aree idonee e abrogando le relative norme della «legge Scanzano», ovvero il decreto-legge n. 314 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 368 del 2003.
      L'articolo 10 introduce un sistema di compensazioni territoriali per i comuni che accettano di ospitare gli impianti di produzione elettrica, le relative infrastrutture e il deposito nazionale per i materiali radioattivi.
      L'articolo 11 fissa le modalità per l'esercizio, all'occorrenza, dei poteri sostitutivi da parte del Governo.
      L'articolo 12 prevede la predisposizione e l'attuazione di una vasta campagna di comunicazione a supporto dell'attuazione del PNE.
      L'articolo 13 detta le norme per dare copertura finanziaria alla legge.

 

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